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SUBACQUEA

Diving: un avventura blu!

Il desiderio di andare sott’acqua è probabilmente sempre esistito: per cercare cibo, scoprire manufatti, riparare navi (o affondarle) e forse solo per osservare la vita del mare. Tuttavia, finché gli esseri umani non trovarono un sistema per respirare sott’acqua, le immersioni sono state necessariamente brevi e difficoltose.
Nel XVI secolo si iniziò ad utilizzare campane subacquee rifornite d’aria dalla superficie, il primo vero sistema per rimanere sott’acqua per un tempo illimitato. Due delle principali strade di investigazione, una scientifica e una tecnologica, accelerarono notevolmente l’esplorazione subacquea. La ricerca scientifica fu portata avanti dal lavoro di Paul Bert e Scott Haldane, provenienti rispettivamente dalla Francia e dalla Scozia. Allo stesso tempo i progressi tecnologici – pompe ad aria, scrubber, erogatori, ecc. – hanno reso possibile la permanenza dell’uomo sottacqua per lunghi periodi di tempo.

A partire dagli anni settanta si sviluppò, a fianco del crescente fenomeno del turismo internazionale, un turismo della subacquea mirato alla semplice “visita” dell’ambiente sottomarino. Oggigiorno i subacquei grazie alle nuove attrezzature, sempre più leggere, tecnologiche e confortevoli, sono autonomi dalla superficie e possono spostarsi nuotando quasi senza fatica, ma durante le immersioni può anche accadere di muoversi sfruttando un veicolo a propulsione, secondo le esigenze, o semplicemente sfruttando le correnti marine.

Un relitto della Romagna: la piattaforma Paguro

La storia del Paguro inizia con le prime perforazioni di pozzi per l’estrazione di metano che l’AGIP iniziò nell’off-shore ravennate nei primi anni ’60. L’Italia non possedeva piattaforme idonee alla perforazione in mare, per cui le stesse erano noleggiate da armatori esteri a costi elevatissimi. Su licenza americana furono quindi fatte costruire dall’AGIP le piattaforme mobili, self-elevating, Perro Negro e la gemella Paguro costruita, quest’ultima, nel 1962-63 a Porto Corsini (RA). Il Paguro prese subito il mare ed iniziò la propria attività. A metà del 1965, fu posizionato su un nuovo sito per perforare il pozzo PC7 (Porto Corsini 7) a circa 12 miglia dalla costa di fronte alla foce dei Fiumi Uniti.

Purtroppo, quando il 28 settembre 1965 la trivella raggiunse il giacimento gas a circa 2.900 metri di profondità, ci fu un’improvvisa eruzione di fluido. Era successo che, oltre al giacimento oggetto della perforazione, la trivella aveva intaccato anche un secondo giacimento sottostante, non previsto, che conteneva gas ad una pressione altissima.
Vennero immediatamente attivate le valvole di sicurezza di testa pozzo, che funzionarono perfettamente e tennero la pressione di testa. Purtroppo però, dopo poco, le pareti del pozzo cedettero e si sprigionò l’eruzione di gas, a quel punto non più controllabile. E fu la tragedia.

Il Paguro si trovò avvolto da acqua, gas e, poco dopo, anche dalle fiamme alimentate dal gas stesso, che fusero le parti metalliche che si trovavano sopra l’eruzione. Fu così che la piattaforma si inabissò il 29 settembre nel cratere formato nel fondale dallo stesso gas che continuava a fuoriuscire ad una pressione di circa 600 atmosfere. Come quasi sempre avviene, anche questa tragedia scoppiò durante la notte e con condizioni meteomarine proibitive; morirono tre persone mentre le altre furono fortunosamente recuperate dal personale dei mezzi di soccorso, in mezzo a difficoltà sia operative, dovute alle condizioni ambientali, sia emotive, causa la tragedia che si stava lì consumando. Il gas che continuava a fuoriuscire dal fondale e che mescolato a pulviscolo d’acqua raggiungeva un’altezza di oltre 50 metri, continuò a bruciare finché, dopo circa tre mesi, l’AGIP, con la perforazione ad alcune centinaia di metri di distanza di un pozzo deviato, riuscì a cementare il PC7.

Negli anni 1990 sopra il relitto sono state posizionate diverse piccole strutture dismesse che lo hanno reso ancora più affascinante. La parte più alta del relitto si trova comunque sempre alla quota di -10 metri circa, mentre buona parte degli alloggi è ora crollata corrosa dall’ossido e dalle correnti galvaniche. Il cratere allora formatosi sul fondale è sempre presente e raggiunge i -33 metri circa.

Il turismo subacqueo attorno al “Paguro”

Ben presto il relitto, da ricordo sommerso di una tragedia, si è trasformato in una meta per i subacquei sportivi, per la ricchezza eccezionale di vita che aveva trovato in quel reef artificiale il modo di svilupparsi.
Per regolamentare le immersioni sul relitto e salvaguardare la zona di tutela biologica, istituita nel 1995, è nata a Ravenna l’Associazione Paguro. Il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali ha emanato il 21 luglio 1995 il Decreto “Istituzione della zona di tutela biologica nell’ambito del compartimento marittimo di Ravenna”.

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